Basilica Cattedrale Cesena 26 giugno 2025
Carissimi,
insieme siamo riuniti come l’unico corpo di Cristo, l’unica famiglia di Dio. Questo senso di appartenenza ci conferma che solo insieme esprimiamo la Chiesa (laici, vescovo, sacerdoti, diaconi, religiosi/e) e mostriamo la bellezza di essere immagine e somiglianza di Dio, così come abbiamo meditato domenica scorsa. Siamo inseriti nel mistero trinitario dove la relazione tra le persone esprime la pienezza dell’amore fecondo, mentre la solitudine e l’isolamento producono la sterilità di un amore autoreferenziale.
Nel giorno in cui la Chiesa celebra la solennità del Corpus Domini, cogliamo soprattutto la dimensione ecclesiale, il Corpo di Cristo che siamo tutti noi, la sua vita offerta per noi, il suo sangue versato per la nostra salvezza. Eppure, carissimi fratelli e sorelle, confratelli nel sacerdozio, diaconi, religiosi e religiose, ogni volta che celebriamo l’Eucaristia cogliamo la presenza viva del Signore.
Ma, ripensando all’istituzione dell’Eucaristia, c’è stato un momento durante il quale il maligno si è messo all’opera attraverso il tradimento di Giuda. Potremmo dire che è stata l’occasione per rimandare al lievito vecchio, facendo riaffiorare la nostalgia della schiavitù, le cose vecchie e non risolte, la logica “del si è fatto sempre così” senza lasciarsi fermentare dalla novità che lo Spirito suggerisce alla Chiesa.
Ci meravigliamo? Eppure non succede anche a noi o nelle nostre assemblee liturgiche di partecipare mantenendo rancori personali e incapacità di perdono? Ed è pur sempre nell’Eucaristia che si avverte più forte il dolore per le ferite che sanguinano: è esattamente il momento in cui riusciamo a leggere la nostra storia, quella degli altri, dell’umanità intera responsabile talvolta di coltivare la cultura dello scarto, lasciando che bimbi, donne e uomini vengano restituiti dal mare sulle spiagge, uccisi da bombe che hanno ricevuto come unica intelligenza quella di annientare la vita inerme e indifesa impregnando la terra di sangue innocente.
E’ proprio nell’Eucaristia, mentre giustamente gridiamo la nostra paura e il dolore dell’umanità intera a causa di ingiustizie, vendette, lotte e distinzioni stupide tra popoli e religioni, che troviamo il vaccino della gratuità dell’amore di Dio che si dona come farmaco che contemporaneamente guarisce e nutre ogni uomo, quindi la Chiesa. Questo volto di Chiesa deve trasparire. E’ nell’Eucaristia che Gesù si è fatto nostro cibo e bevanda di salvezza consentendoci di essere in comunione piena con lui, attraverso la comunione che si vive con i fratelli. E’ esattamente il contrario di quella forma rituale che diventa ripetitiva esclusivamente per rispettare un precetto e ricevere la comunione ma senza vivere la comunione. E’ la logica dell’abitudine, della ripetitività formale.
L’Eucaristia è mistero che si svela e aiuta il nostro cuore a dilatarsi per esprimere gratitudine a Dio che si è fatto carne e cibo di vita eterna. E’ esperienza concreta che ci invia nel mondo per diffondere il buon profumo del Vangelo, aiutando a costruire un’umanità nuova.
Nella prima lettura la figura di Melchisedek appare come il Re di Salem che porta “pane e vino”. Conosciamo meglio Melchisedek attraverso la lettera agli Ebrei che lo definisce “Re di giustizia, abita nella pace, è Re da dove è la pace, venera e adora il Dio Altissimo, il Creatore del cielo e della terra, e porta pane e vino” (cfr Eb 7,1-3; Gen 14,18-20).
Benedetto XV ci ha insegnato che i “I Padri hanno sottolineato che è uno dei santi pagani dell’Antico Testamento e ciò mostra che anche dal paganesimo c’è una strada verso Cristo e i criteri sono: adorare il Dio Altissimo, il Creatore, coltivare giustizia e pace, e venerare Dio in modo puro. Così, con questi elementi fondamentali, anche il paganesimo è in cammino verso Cristo, rende, in un certo modo, presente la luce di Cristo”.
Dalla lettura dei testi biblici la figura di Melchisedek viene presentata più grande dello stesso Abramo: Dio lo rende sacerdote attraverso la sua unzione e non per discendenza, divenendo profezia del sacerdozio puro e santo del suo Messia. Il pane e quel vino offerti da Melchisedek rivelano a noi cristiani che l’Eucaristia è stata da sempre nella mente e nel cuore di Dio come un desiderio da compiere nella storia degli uomini.
Siamo dunque chiamati, in quanto uomini, a diventare uno con Dio: questo è il vero culto gradito a Dio. Diversamente si corre il rischio di «allungare i filatteri» curando la propria immagine, difendendo il proprio ruolo nella diversità ministeriale, a scapito dell’intera comunità. E, invece, siamo invitati a far crescere il desiderio di costruire ponti di fraternità, fermandoci e ascoltando le storie degli uomini d’oggi da rileggere e rimeditare in preghiera davanti a Gesù Eucaristia. La fragranza del pane spezzato permette di scrivere nuove pagine di umanità che hanno il profumo della profezia e della speranza.
Papa Leone XIV, nel recente incontro con noi vescovi italiani ci ha ricordato: “Innanzitutto, è necessario uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede. Si tratta di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma. Questo è il primo grande impegno che motiva tutti gli altri: portare Cristo “nelle vene” dell’umanità (cfr Cost. ap. Humanae salutis, 3), rinnovando e condividendo la missione apostolica: «Ciò che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi»” (1Gv 1,3).
Sia dalla seconda lettura che dal Vangelo capiamo che l’Eucaristia non è solo pane e vino che attraverso la transustanziazione diventano “corpo” e “sangue” di Cristo, ma pane spezzato e vino versato. In questo modo riusciamo a cogliere il senso della sua vita offerta per noi. E la logica del dono ci aiuta a capire che celebrare l’Eucaristia, ricevere Gesù Eucaristia, non significa stare bene, aver soddisfatto il precetto, aver ricordato l’anima di una persona cara. E’ anche questo! Ma prima di tutto cogliere che partecipare all’Eucaristia significa spendere come Gesù, la propria vita in un dono, che si fa pane spezzato e nutrimento per il bene dei fratelli.
A noi, come ai discepoli, Gesù ci dice di non avere paura dello scenario vasto e sofferente che si dipana dinanzi i nostri occhi. Di non perderci d’animo se anche oggi ci sono solo “cinque pani e due pesci”. E’ lui il pane disceso dal cielo, è lui il cibo di vita eterna, è lui che si è spezzato per tutti.
Ieri, come oggi, non si tratta di soddisfare solo il bisogno materiale del momento, ma di intridere nel cuore di chi ha fede il grande insegnamento della condivisione: i discepoli devono dare “loro stessi da mangiare”. Questo ci fa capire che non è possibile staccare il dono del “Pane di vita” dalla passione, morte e risurrezione. Banchetto conviviale e banchetto sacrificale stanno insieme. Se partecipare alla celebrazione eucaristica significa fare festa e convivialità, non bisogna mai dimenticare che il mistero pasquale è passione, morte e risurrezione, quindi il banchetto eucaristico resta sempre banchetto sacrificale.
Al termine della celebrazione, vivremo la processione eucaristica. Con Gesù Eucaristia attraverseremo alcune strade della nostra città, per diffondere e fortificare la speranza, nutrire la fiducia, seminare la pace, ritornare a credere nell’uomo abitato e illuminato dalla presenza divina.
La Madonna del Popolo, con i santi Mauro e Vicinio, ci accompagnino nel seguire e ascoltare Gesù, nostra speranza. Così sia.
✠D. Pino, Arcivescovo